L’avvenimento secondo Giotto: presentazione di Roberto Filippetti

L’AVVENIMENTO SECONDO GIOTTO

di Roberto Filippetti

Nella Cappella degli Scrovegni dell’Arena di Padova, Giotto ha messo in scena l’Avvenimento: quello di cui la cristianità aveva fatto giubilare memoria nel 1300.

Lui che in quella circostanza aveva lavorato proprio a Roma, e che ben conosceva il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, memore di questo modello, una volta giunto a Padova attorno al 1303, dipinse il suo capolavoro assoluto. Un edificio semplicissimo all’esterno: mattoni di cotto ben piantati sulla nuda e cruda terra. Però, varcato il portale, ci si spalanca un pezzo di mondo di una bellezza dell’altro mondo: perché la Bellezza – e il Giubileo, del 1300 come del 2000, ne è il memoriale – è entrata in questo mondo, si è offerta allo sguardo stupito di chi ha il cuore bambino. Il monumento – lo dice l’etimologia – è “segno che fa ricordare”. Ma il suo contenuto, che è stato chiarissimo per tanti secoli, oggi appare enigmatico a tanti: non ricorda loro più niente, sembra parlare in una lingua sconosciuta.

Gli studi specialistici a volte complicano, anziché semplificare. A noi interessa, semplicemente, far parlare questo monumento, ascoltarne il messaggio, ciò che “veramente ha voluto dire Giotto” (Claudio Bellinati); essendo “la Bellezza lo splendore del Vero”, ci entusiasma cogliere la poesia iconica delle corrispondenze verticali e frontali, del simbolismo di colori, numeri, prospettive architettoniche. Giotto – accanto a Dante – sta all’apice di una “cultura in cui tutti i particolari, tutti quanti, neanche uno escluso, sono coinvolti come una nota sola o un canto solo, senza nessuna stonatura” (L. Giussani). Chi come me ha avuto la fortuna di visitare la Cappella centinaia di volte, con i tanti gruppi di amici, ad ogni occasione è stato provocato a cogliere un particolare nuovo e sorprendente, entro la grande sinfonia: dettagli colti a volte dall’occhio curioso di un ragazzino delle elementari o delle medie, di cui è stata poi verificata la pertinenza in qualche ponderosa monografia.

Il giorno della prima dedicazione della Cappella degli Scrovegni è il 25 marzo 1303; il giorno della seconda dedicazione a “Santa Maria della Carità all’Arena”, ad affreschi ultimati, è il 25 marzo 1305, festa dell’Annunciazione. Maria Annunciata, o “della Carità”: perché la carità non è il mio sforzo generoso di fare il bene (cosa che, prima o poi, stanca), ma l’iniziativa di Dio il quale – il 25 marzo dell’anno zero – attraverso l’angelo Gabriele che portò l’annuncio a Maria, si è fatto carne. Gratis (in latino), Charis (in greco): gratuità, carità, dono assolutamente gratuito di Dio all’uomo, attraverso il grembo (e la libertà di aderire) di una ragazzina di sedici o diciassette anni.

A sinistra e a destra del grande arco trionfale stanno l’angelo e Maria, mentre al culmine – in una tavola rettangolare – è il trono di Dio verso il quale ascende Gabriele. E’ l’alfa della carità redentrice, il prologo in cielo dell’Avvenimento redentivo. E proprio il 25 marzo – festa dell’Annunciazione – era nel Medioevo, a Padova come a Firenze, il giorno di capodanno: l’inizio di un nuovo ciclo temporale, nel momento in cui si fa memoria dell’Eterno che è entrato nel tempo.

Varcato il portale, simbolo della fede in Cristo – porta dell’ovile – in cima a tre gradini, ci si apre dinanzi uno spazio unitario, a una sola navata, ma diviso in treparti (la navata è tagliata dall’iconòstasi, che era sormontata dal Crocefisso di Giotto: è Cristo, porta della carità del Padre. C’è infine il presbiterio e l’abside, con la rotonda finestra da cui all’alba irrompe la luce del sole: è Cristo risorto, porta della speranza certa, che ogni mattina sorge, illumina, riscalda e “orienta” la vita). Anche le absidi sono tre: accanto a quella reale vi sono due absidìole dipinte, in bella prospettiva. Nell’arco trionfale, un ideale triangolo unisce il trono di Dio Padre con l’angelo Gabriele, a sinistra, e l’Annunciata, a destra. Nella parete di fondo, Cristo Giudice è appena sceso dal trono-trifora: una sola luminosissima finestra, ma divisa in tre parti. Nel cielo stellato della volta (che all’inizio, a metà e alla fine è attraversata da tre fasce ornamentali), campeggia il sole di Cristo Pantocràtor, con la mano benedicente, ove tre dita (pollice, anulare e mignolo) sono unite, mentre indice e medio sono intrecciate per indicare (contro l’eresia catara, antenata dell’attuale spiritualismo new age) che nella persona di Cristo sono inscindibili la natura umana e quella divina. Insomma, continuamente Giotto ci dice “Unità e Trinità di Dio“, mentre ci racconta l’altro principale Mistero: Incarnazione , Passione, Morte e Resurrezione di nostro Signor Gesù Cristo.

Le tante triplette potremmo inseguirle negli affreschiTre volte il tabernacolo del tempio: cacciata di Gioacchino, presentazione di Maria, presentazione di Gesù. Tre volte le porte di Gerusalemme. Tre volte il gesto dello strapparsi le vesti: l’angioletto sotto la croce, il sommo sacerdote, il vizio dell’ira. Tre volte l’asino “cristò-foro”: Natale, fuga in Egitto, palme. Tre fotogrammi connotati dalla stessa cornice architettonica nella sequenza del matrimonio della Vergine., perfettamente corrispondente alla destra di Gesù tre volte benedicente, nel registro inferiore. Tre volte il cenacolo. Tre volte la Maddalena ai piedi di Gesù:CrocefissioneCompiantoResurrezione

Il primo gesto che, quasi istintivamente, compie chi varca il portale d’ingresso è alzare gli occhi, calamitati dall’azzurro del cielo: per prima cosa Giotto ci strappa dalla distrazione e restituisce noi a noi stessi, ci ricorda che Dio ci ha fatto un cuore affamato e assetato. Si chiama “de-siderio”: sete di stelle, tensione verso il cielo della felicità (il Medioevo ci ha tramandato la passione per le etimologie, nelle quali si cela, a volte, la ‘chiave’ degli affreschi, come si vedrà). Grygiel direbbe “an-echesi”: grido che risuona verso l’alto. Se siamo privi di questa curiosità desiderosa e tesa, l’iniziativa di Dio che scende dal cielo (“cat-echesi”: il canto della dolce Notizia – “ev-angelo” – che echeggia giù verso il basso) subito scivola via senza lasciare traccia. Contempliamolo, dunque, quel prezioso azzurro lapislazzulato, che rimbalza dalla volta sopra tutti, ma proprio tutti i riquadri affrescati da Giotto: simboleggia il cielo del Mistero buono, perché tutta la realtà dimora sotto il celeste abbraccio del Padre misericordioso. Contempliamolo dove si è conservato, e immaginiamolo dove la preziosa azzurrite, applicata con un ‘legante’ sull’intonaco asciutto (perché verrebbe danneggiata dalla calce dell’intonaco ‘a fresco’), si è staccata, come tante volte nel mantello di Gesù e Maria.

 

Nell’azzurra volta del cielo si stagliano su uno sfondo dorato Cristo-sole e la Madonna-luna, astri di straordinaria grandezza circondati dagli otto pianeti-profeti e dalle tantissime piccole stelle (oltre settecento, a simboleggiare i santi). Tornati così in noi – coscienti di essere creature “de-sideranti” – ci guardiamo attorno. E ci riconosciamo a casa (domus: duomo), in una bella casa, ben proporzionata ( le misure sono modellate su quelle del tempio di Salomone: 21.50 per 8.50 per 12.80. Cfr. 1 Re, 6 ss.) dove tutto aiuta a vivere la Memoria: siamo infatti tra le pagine di un libro miniato – la Biblia pauperum – in cui ci è solo chiesto di stare ad occhi sgranati. Molta osservazione e pochi arzigogoli intellettualistici. Poi ci muoviamo, portati da una nave (navata) che il nocchiere guida verso il porto; ovvero camminiamo sicuri in una strada orientata verso il Destino buono (Est), mentre dalle finestre a Sud entrano luce e calore. Invece nella parete Nord non ci sono finestre: contro il freddo e il buio del Male occorre lottare, alzando un’invalicabile diga.

Casa, nave, strada, e soprattutto Bibbia dipinta: Giotto ha “messo in scena” l’Avvenimento giubilare dell’Incarnazione – cinquant’anni di storia, dall’Immacolata Concezione di Maria, attorno al 17 a.C., attraverso il Natale, fino al compimento della Redenzione nell’anno 33 d.C. – in tre splendidi ‘registri’. Un Avvenimento vero, accaduto in un preciso momento del passato; un Fatto che ci raggiunge col suo splendore e ci fa amare il bene e provare disgusto per il male oggi: Virtù e Vizi, nel quarto, monocromo ‘registro”. Un evento che si compirà quando la carità giudicante di Cristo tornerà alla fine dei tempi: il grande Giudizio universaledella controfacciata.

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