Elena La madre dell’imperatore – Evelyn Waugh

Evelyn Waugh 

Elena La madre dell’Imperatore

BUR

Opera di uno dei più famosi scrittori inglesi del Novecento, il romanzo racconta la storia di S. Elena, la madre dell’imperatore Costantino, da sempre ricordato per aver concesso libertà di culto ai cristiani.

Nel racconto semplice di fatti e avvenimenti, personali e pubblici, culturali, religiosi e politici, emerge, nella figura di questa donna, la dimensione più profonda del cuore con cui le diverse circostanze, liete o dolorose sono vissute. La curiosità, l’amore per la bellezza, il realismo e il desiderio di realizzazione determinano le sue domande, le sue scelte le sue azioni: dall’interesse per la letteratura, al matrimonio, al battesimo fino ad indurla a partire, a 70 anni, per la Terra Santa alla ricerca della Croce di Cristo.

Elena vive le vicende drammatiche della sua famiglia e dell’impero con apertura totale. Di fronte al muro costruito per dividere il mondo civile dalle genti selvagge, chiede: “Roma non andrà mai al di là del muro?…invece di barbari che sconfinano dentro potrebbe la Città sconfinare fuori?….Il muro non potrebbe stare ai limiti del mondo e la Città essere di tutti gli uomini civili e barbari?”

L’incontro con diverse religioni, credenze, filosofie, non riesce a soddisfare il suo bisogno di ragioni adeguate per credere: le sue domande, che sono semplici e dirette, non intellettuali: “Se mai trovassi un maestro, dovrebbe essere uno che chiama a sé i bambini.”, la portano ad interrogare il cristiano Lattanzio: “Questo dio, se ti domandassi quando e come lo si è potuto vedere, cosa mi diresti? .. E come lo sai?” “Direi che come uomo è morto 278 anni fa nella città che oggi viene chiamata Elia Capitolina in Palestina. .. Abbiamo i resoconti scritti dei testimoni. Inoltre c’è la memoria viva della Chiesa. Ci sono notizie tramandate di padre in figlio, luoghi invisibili segnati dalla memoria: la grotta dove nacque, la tomba in cui fu deposto il suo corpo, il sepolcro di Pietro…” “Nessuno lo vede, da quasi trecento anni?” “Qualcuno l’ha visto. I martiri lo vedono ora.” “E tu?” ….

Il battesimo che riceve senza particolari festeggiamenti segna l’inizio del cambiamento: il sentimento di appartenenza non dovuta alla parentela o al rango sociale (l’ambulante e il lavandaio, l’avvocato e lo scrivano, tutti e ciascuno possono essere una cosa sola con l’Imperatrice Madre nel Corpo Mistico. E anche i tanti pagani da un momento all’altro possono diventare una cosa sola con loro) e il compito: in un mondo decadente, dove sembra che alla fede si sostituisca un vano gioco di parole, Elena sente di dover cerca la croce di Cristo e lo dice a Papa Silvestro: “..in questo momento ce n’è tanto bisogno…c’è bisogno di un robusto pezzo di legno che (Dio) non vede l’ora di potergli sbattere sulla zucca, a quegli stupidi. Io vado a cercare”  “Me lo direte, vero? se riuscirete a trovarla.” “lo dirò al mondo”.

 

Il libro non è un testo di storia, né di archeologia; dove le fonti non forniscono dati certi, supplisce l’invenzione dell’autore, che, senza violare l’autenticità storica (c’è ben poco che non trovi pezzi d’appoggio nella tradizione o nei documenti dell’epoca), introduce alcuni elementi anacronistici come espedienti letterari.

Nel romanzo, che considera il suo capolavoro e che risulta interessante da tutti i punti di vista: del contenuto, della forma, ecc., mi sembra che Waugh sia riuscito a dare “la forma giusta alla cosa giusta”.(cfr. pag. 87).

Nel 1952, in un’intervista alla BBC, spiegando perché avesse scelto una santa come protagonista di un romanzo disse: “Quello che possiamo imparare dai santi è qualcosa sul modo con cui Dio opera. Egli vuole una cosa diversa da ciascuno di noi, faticosa o agevole, straordinaria o completamente normale, ma qualcosa che solo noi possiamo fare e per la quale ognuno di noi è stato creato.” Nella lettera ad un amico scrisse poi: “Non serve a nulla dire: “Vorrei essere come Giovanna d’Arco o san Giovanni della Croce.” Io posso essere solo sant’Evelyn Waugh”. Esprimeva la coscienza di essere stato chiamato a collaborare con Dio usando il particolare talento di cui lo aveva dotato.

 

 

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